Lo stemma di Lizzano è una testimonianza della forza e della resilienza della comunità, con radici profonde nella storia e nelle leggende locali. L'emblema civico, oggi costituito da un leccio che sorge su un prato con il tronco avvolto da una legatura, rappresenta simbolicamente la rinascita e la speranza. Al centro della rappresentazione vi è il motto "Fracta et ligata refloret" (spezzata e legata rifiorisce), inciso su un cartiglio tra le fronde.
L'Emblema storico (1879)
La più antica descrizione dello stemma di Lizzano risale al 1879, riportata da Giacomo Arditi nella sua opera La corografia fisica e storica della Provincia di Terra d'Otranto, dove viene raffigurato come una 'Torre merlata dalla quale sorge una quercia.' Quest'immagine suggerisce un simbolo di protezione e di continuità, elementi che si ritroveranno anche nelle descrizioni successive.
L'interpretazione
di Filippo Berzano (1950)
Filippo
Berzano, nel suo libro La storia di Lizzano del 1950, arricchisce la narrazione
dello stemma spiegando come la scelta della quercia sia collegata alla storia del
territorio e alla resilienza dei suoi abitanti. Racconta di un passato in cui
il suolo lizzanese era ricco di ulivi, mandorli e soprattutto lecci, alberi
amati dai Lizzanesi:
"I
nostri Padri amavano i querceti. La leggenda narra che un giorno il cielo si
abbuiò, gravato di pesante foschia. [...] una quercia, forse la più alta e la
più bella, sconquassata dal turbine, veniva colpita nei suoi due tronchi
principali che si ripiegavano penzoloni, a terra" .
Secondo Berzano, la quercia è un simbolo di forza e resistenza, capace di risollevarsi dopo le avversità. Il motto "Fracta et ligata refloret" sintetizza questa resilienza. La descrizione dello stemma in questo periodo suggerisce che fosse già un leccio spezzato e legato, simbolo della rinascita della comunità dopo le difficoltà.
“Nei secoli remoti, il suolo lizzanese era coperto, in parte, di ulivi, mandorli e fichi ed in parte d’elci, alberi ghiandiferi, sempre verdi, che si denominavano anche lecci, specie di quercia. Questi lecci, alti e forti, s’innalzavano sul piano roccioso del monte Aia ed anche altrove a detta degli Avi. Stendevano al loro dintorno ombra larga ed amica. Nelle calde giornate, quando il sole dardeggiava più dell’usato, i Lizzanesi volentieri sedevano all’ombra per godere il fresco della grande chioma fronzuta, da cui ordinariamente partivano pigolii e gorgheggi d’uccelli gaii, saltellanti di fronda in fronda. I nostri Padri amavano i querceti. La leggenda narra che un giorno il cielo si abbuiò, gravato di pesante foschia. I fulmini solcavano il cielo con guizzi rapidissimi, i tuoni, come un terremoto, facevano tremare cielo e terra. Tutto s’avvolgeva nelle ombre cupe, il temporale era minaccioso. Di punto in bianco ecco le prime gocce cadere grosse, sonanti, sul terreno, spegnendone la polvere e sollevandone quell’acre fragranza tutta propria della terra bagnata. Poi la pioggia scrosciava e cadeva a secchi, a nembi, a rovesci. Tra i sibili del vento furioso guizzavano i lampi, rumoreggiavano i tuoni, scricchiolavano gli alberi, ed una quercia, forse la più alta e la più bella, sconquassata dal turbine, veniva colpita nei suoi due tronchi principali che si ripiegavano penzoloni, a terra. In breve, al cielo fosco e minaccioso, succedeva un cielo sereno e limpido. Era passata la tempesta. Molti alberi erano stati divelti, ma la Quercia, regina, prediletta dai Lizzanesi, era stata solo ferita. Sul tumulto della natura, ecco gradatamente stendersi un improvviso senso di pace, pausa riposante dello spirito agitato. In questo periodo di tregua la Quercia-Madre veniva da mano esperta esaminata e legata. I due tronchi pendenti erano rialzati con sorprendente abilità e l’albero rifioriva per incanto in una folta vegetazione primaverile ed in una gloria di sole. Fracta et ligata refloret. Rotta e legata rifiorisce: ecco il motto storico dello Stemma Lizzanese. Perché i nostri Padri scelsero, come emblema della loro insegna gentilizia, una Quercia spezzata e legata? I motivi possono essere molti:
1 – perché l’elce o quercia era coltivata su vasta scala sul suolo lizzanese;
2 – perché la quercia è simbolo di forza e di resistenza;
3 – perché da lezza e leccio (quercia) fecero derivare il nome del paese Lizzano, in latino Litiano; nel dialetto primitivo, quando si parlava ancora un linguaggio parte volgare e parte latino, si pronunciava: Litia, Lezza, Lizzano;
4 – perché i Lizzanesi, sulle sponde del mare prima, sul Monte della Guerra dopo, resistevano, combattendo, alle orde selvagge dei Turchi, dei Saraceni e dei Pirati. Alcune volte i Barbari furono respinti, altre volte i Lizzanesi soccombettero, ed il paese fu saccheggiato ed in parte distrutto. Dopo i Lizzanesi s’allontanarono dal mare e costrussero le loro case ai piedi del Monte Aia, ricco di lecci, elce e querce. Per ricordare il colpo terribile ricevuto dai Barbari e per segnalare ai posteri la rinascita del paese, gli Avi scelsero ad arma gentilizia del Comune la quercia spezzata, legata, che rifiorisce in uno sfondo azzurro, sormontata dalla corona ducale. Come la quercia, spezzata in parte in due suoi tronchi, magistralmente legata riprende la sua vegetazione splendida, brillante, gettando in alto la sua chioma, ed in basso, nel vivo della roccia, le sue radici; così il paese di Lizzano, depredato, saccheggiato, forse parzialmente distrutto nei secoli primitivi, riuscì a trarre dalla compattezza e dalla unione dei suoi figli tanta energia morale da rinascere, dilatarsi, estendersi e formare un centro propulsore di vita agricola di primo ordine. Oggi il Comune da 500 anime ha raggiunto la cifra di 10000 e conta cittadini illustri e benemeriti sia nella giurisprudenza, come nella coltura e nell’arte. Quercia Lizzanese, simbolo di fortezza, continua a rifiorire. Sia la tua una perenne primavera con le mani piene di rose, e con gli occhi sfavillanti di sole; continua a crescere, a gettare profonde le radici nella roccia, ed in alto la tua chioma, accarezzata dai blandi zefiri. Prima, “vivevi nella tua selva sonora”, oggi sei solo un simbolo, un emblema, un’arma gentilizia, una voce potente e formidabile, che grida alle presenti e future generazioni: “Lizzanesi, ricordate i vostri padri, hanno sofferto, spasimato, pianto, versato sangue, ma hanno vinto. Gl’invasori, gli oppressori, i barbari sono stati abbattuti, atterrati, gittati a mare. Il segreto della loro vittoria è stata la fortezza, l’unione, l’onore, la difesa della propria terra. Il coraggio e la luce nell’avversità”. Ascoltiamo la voce della Quercia e riveliamoci arditi in tutte le nostre attività.
Che non può un’alma ardita
Se in forti membri ha vita?
(Parini)”
Leggende e nuove interpretazioni (1988)
Nel 1988, Salvatore Fischetti nel libro Lizzano per San Giuseppe. Le tavolate devozionali. Storia e costume, aggiunge un'ulteriore spiegazione che lega lo stemma di Lizzano a quello della città di Lecce. Si narra che l'ispirazione per l'insegna municipale derivi dallo stemma leccese, da cui è stato escluso l'elemento della lupa, mantenendo solo l'albero di leccio. La quercia spezzata e legata divenne così un simbolo di rinascita e speranza per la comunità lizzanese:
“Una leggenda locale narra che i lizzanesi abbiano voluto basare la loro insegna municipale proprio sullo stemma della città d’origine, Lecce, che ha un albero di leccio ai piedi del quale è una lupa, perché la città, ai tempi dei messapi, era chiamata Lupiae; ne esclusero la lupa stessa e modificarono l’albero di leccio, rappresentandolo spezzato e legato, ma rifiorente a nuova vita, in maniera tale da ricordare le loro tristi vicende e augurare, nel contempo, nuova prosperità: ricordo e auspicio sintetizzati nel motto latino Fracta et ligata refloret (spezzata e legata rifiorisce)”.
Nuovi
dettagli storici (1993)
Un
ulteriore contributo nel 1993 da Antonio Maglio, nel supplemento di dicembre al Quotidiano, Gli stemmi raccontano, aggiunge dettagli sia
leggendari che storici, suggerendo che l'attuale stemma, ufficializzato il 27
maggio 1929, rappresenti un leccio rifiorente con il tronco avvolto da una
fascia, simbolo della forza e della volontà di rinascita:
"Lo
stemma di Lizzano è costituito da un leccio che sorge su un prato; il tronco
dell'albero si presenta avvolto da una corda come se esso si fosse spezzato in
due parti che si vogliono tenere insieme con la legatura, tra le fronde un
cartiglio reca il motto a caratteri neri 'Fracta et ligata refloret'”.
Maglio racconta la leggenda di un uragano che distrusse gran parte della foresta di querce e ulivi intorno a Lizzano, lasciando una quercia maestosa spezzata ma viva. Un contadino lizzanese rialzò e legò i rami spezzati, permettendo all'albero di rifiorire, un evento considerato un segno di rinascita per la comunità. Inoltre, Maglio collega la storia dello stemma a quella di Rudiae e della fondazione di nuovi insediamenti come Lizzano, suggerendo che lo stemma si ispirasse a quello di Lecce, ma rappresentasse la resilienza di una comunità capace di rinascere.
“Lo stemma di Lizzano è costituito da un leccio che sorge su un prato; il tronco dell'albero si presenta avvolto da una corda come se esso si fosse spezzato in due parti che si vogliono tenere insieme con la legatura, tra le fronde un cartiglio reca il motto a caratteri neri "Fracta et ligata refloret" (spezzata e legata rifiorisce). Il Comune di Lizzano fu autorizzato ad utilizzare il blasone il 27 maggio 1929. L'immagine raffigurata ha origine, si racconta, da un pauroso uragano che sconvolse il territorio di Lizzano molti secoli fa. Il piccolo casale a quel tempo era circondato da un'enorme foresta di querce e di ulivi selvatici: quando arrivò il fortunale una tempesta di pioggia e vento decimò gli alberi che abbatté come se fossero stati fuscelli. La furia della natura, si racconta ancora, distrusse l'intero villaggio e non ebbe rispetto nemmeno di una vecchia e maestosa quercia, la più alta di tutte, quella che con le sue ghiande aveva dato vita all'intera foresta e che veniva venerata come se fosse una divinità. Quando la tempesta passò, tornò a splendere il sole illuminando lo spettacolo desolante degli alberi distrutti. Fu allora che apparve evidente il danno subito dalla grande quercia: i due rami principali erano stati spezzati e penzolavano dal tronco. Memore del significato della pianta, un contadino di Lizzano rialzò i rami e li legò al tronco nel punto in cui si erano schiantati. Improvvisamente, quasi per incanto, la quercia rifiorì ed i suoi rami, più verdi e più belli di prima, svettarono di nuovo verso il cielo. L'evento fu considerato dai lizzanesi come un presagio di rinascita della comunità dopo l'uragano, rinascita che puntualmente avvenne, e la quercia, sia pure raffigurata come un leccio (che ne è una varietà), fu elevata a simbolo nello stemma cittadino. Fin quì la leggenda. La storia racconta invece dell'antica città di Rudiae distrutta da Gugliemo il Malo e dei suoi abitanti che si dispersero nella Terra d'Otranto. Jacopo Antonio Ferrari nell'"Apologia Paradossica" scrive che, senza più dimora, i rudiensi più ricchi furono furono accolti dai vicini leccesi, quelli più poveri vennero fatti accampare nei pressi della città, dove fondarono Lizzanello, e vicino Pulsano, dove dettero vita a Lizzano. In ricordo di quell'evento antico lo stemma cittadino si rifarebbe dunque al leccio del blasone leccese mentre i due rami spezzati e tenuti insieme dalla corda starebbero ad indicare la nuova vita che torna dopo le sventure del passato: Lizzano, dunque, che risorge dopo la distruzione di Rudiae. Non sempre però il paese ha avuto questo stemma: è dei mesi scorsi la notizia del ritrovamento negli archivi comunali di alcuni documenti degli inizi del secolo in cui l'emblema cittadino è costituito da un leccio che si erge da una torre merlata, la stessa effigie, tra l'altro, riportata da Giacomo Arditi ne "La corografia fisica e storica della Provincia di Terra d'Otranto" a proposito della descrizione del centro jonico. La torre, è opinione diffusa, ricorderebbe le imprese di un manipolo di guerrieri che nel primo Medio Evo combatterono nelle contrade di Lizzano; il paese ebbe infatti la funzione di roccaforte lungo l'epico "Limen Longobardorum" (confine dei Longobardi), una serie di fortificazioni erette dai bizantini per bloccare l'avanzata appunto dei Longobardi”.
Documentazione Storica e Riconoscimenti Ufficiali (1994)
Il
testo del 1994 di Antonio Pagano, Storia di Lizzano. Dalle origini alla fine del XIX secolo, approfondisce ulteriormente l'evoluzione storica dello stemma di
Lizzano, partendo dai documenti dell'Università di Lizzano dei primi anni del
XIX secolo. Durante il periodo della Restaurazione, tutti i comuni utilizzavano
lo stemma borbonico, sostituito dopo l'Unità d'Italia dallo scudo crociato dei
Savoia. Solo alla fine del XIX secolo, i comuni iniziarono a dotarsi di emblemi
propri:
"Nel
ricercare le origini e nel delineare l’evoluzione storica dello stemma di
Lizzano, risaliamo a quanto scritto dall’Arditi nel 1879. L’emblema civico
rappresenta una torre merlata dalla quale sorge una quercia".
Nel
1929, su richiesta del podestà, lo stemma venne ufficialmente riconosciuto e
registrato dalla Consulta Araldica:
"Campo
di cielo, all’albero di leccio, con due rami spezzati e rilegati, nodrito su
pianura erbosa movente dalla punta, il tutto al naturale, con in alto
all’albero una lista bifida, svolazzante, d’argento, con il motto in nero:
'Fracta et rilegata refloret'". Con Decreto Governativo del 27 maggio
1929, Benito Mussolini concesse al comune di Lizzano di fare uso dello stemma
civico".
Nel 1971, il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat autorizzò un gonfalone ufficiale con lo stemma comunale, ulteriormente registrato nei Registri dell’Ufficio araldico.
“Il timbro più antico dell’Università di Lizzano compare su alcuni documenti del 1811 e 1812, apposti insieme alle firme dei sindaci pro tempore Dionisio Magno, Giovanni Vacca e del decurione segretario Cosimo Maldarella. Con la Restaurazione tutti i Comuni adottarono come unico stemma l’arme dei Borboni con nella legenda i nomi del sovrano e del Comune. Dopo l’Unità d’Italia, lo stemma continuò ad essere uguale per tutti i Comuni, con la sola sostituzione dell’arme borbonica con lo scudo crociato dei Savoia. Solo negli ultimi decenni del secolo XIX i Comuni si diedero un proprio emblema. Nel ricercare le origini e nel delineare l’evoluzione storica dello stemma di Lizzano, risaliamo a quanto scritto dall’Arditi nel 1879. L’emblema civico rappresenta una torre merlata dalla quale sorge una quercia, sulla stessa compare la scritta: Fracta et ligata refloret – Spezzata e legata rifiorisce. Molti potrebbero essere i motivi di questa scelta, ma si possono fare solo supposizioni poiché non esistono riferimenti storici. Probabilmente lo stemma di Lizzano si ispira a quello di Lecce che rappresenta una quercia con ai piedi una lupa. Forse il significato di questa frase vuole mettere in risalto il coraggio, l’eroismo della gente di questo paese la quale, nonostante le ferite riportate, con una semplice legatura ritorna alla vita e rifiorisce. Su richiesta del podestà del comune di Lizzano, diretta ad ottenere il riconoscimento dello stemma civico di quel comune e la iscrizione nel Libro Araldico degli Enti Morali, il Capo del Governo Benito Mussolini, con Decreto Governativo del 27 maggio 1929, concesse al comune di Lizzano di fare uso dello stemma civico miniato nel seguente modo: Campo di cielo, all’albero di leccio, con due rami spezzati e rilegati, nodrito su pianura erbosa movente dalla punta, il tutto al naturale, con in alto all’albero una lista bifida, svolazzante, d’argento, con il motto in nero: “Fracta et rilegata refloret”. Il 28 maggio 1929 (anno VII dell’era fascista) venne trascritto nei Registri della Consulta Araldica. Il 14 luglio 1971, su richiesta del sindaco, il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, concesse al comune di Lizzano il seguente gonfalone: “Drappo D’Azzurro” riccamente ornato di ricami d’argento e caricato dello Stemma comunale, con l’iscrizione centrale in argento: COMUNE DI LIZZANO. Il 31 agosto 1971 fu trasferito nei Registri dell’Ufficio araldico”.
Il
Contributo di Elena Tripaldi (1996)
Nel
1996, Elena Tripaldi, nel suo libro Lizzano e il Convento degli Alcantarini,
riprende le descrizioni degli autori precedenti e le arricchisce con ulteriori
considerazioni storiche e culturali. Tripaldi conferma l'idea di Arditi del
1879, sottolineando come l'immagine della "Torre merlata dalla quale sorge
una quercia" rappresenti una protezione e una continuità radicate nel
passato. Afferma inoltre che:
Filippo Berzano ha interpretato lo stemma come un simbolo di resilienza, dove la quercia, pianta amata dai Lizzanesi e coltivata nei loro terreni, rappresenta la forza e la determinazione della comunità. [...] Berzano ha inoltre posto l'accento sulla scelta del motto 'Fracta et ligata refloret' come chiara metafora della capacità di rinascere dopo ogni avversità.
Tripaldi,
riprendendo quanto evidenziato da Pagano nel 1994, ha sottolineato come lo
stemma rappresenti non solo un legame con il passato storico, ma anche un
auspicio per il futuro, una sorta di emblema di speranza che continua a
ispirare la comunità lizzanese. La torre e la quercia diventano, così, simboli
di protezione, forza e rinascita che collegano Lizzano a Lecce e, più in
generale, alla tradizione salentina di resilienza e orgoglio.
Conclusione
Lo stemma di Lizzano non è solo un simbolo visivo, ma una testimonianza della storia e dell'anima del paese. Attraverso le leggende e le narrazioni storiche, si delinea un emblema che rappresenta la capacità di resistere, di rialzarsi e di rifiorire. La quercia spezzata e legata continua a essere un simbolo di forza e rinascita per la comunità di Lizzano, un invito a ricordare il passato e a guardare con speranza al futuro: "Fracta et ligata refloret: spezzata e legata rifiorisce".
Bibliografia
Arditi Giacomo, La corografia fisica e storica della
Provincia di Terra d'Otranto, Lecce 1879
Berzano Filippo, La storia di Lizzano,
Tipografia Michelerio, Asti 1950
Fischetti Salvatore, Lizzano per San Giuseppe.
Le tavolate devozionali. Storia e costume, Edizione Amici della “A. De Leo”,
Brindisi 1988
Maglio Antonio (a cura di), Lizzano in Gli
stemmi raccontano, supplemento del mese di dicembre del Quotidiano, 1993
Pagano Antonio, Storia di Lizzano. Dalle origini
alla fine del XIX secolo, Edizioni del Grifo, Lecce 1994
Tripaldi Elena, Lizzano e il Convento degli Alcantarini, Graphica Sud, San Giorgio Jonico (TA), 1996
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Amo gli alberi e le querce tra di essi che cerco di seminare raccogliendone le ghiande e lanciandole a spaglio nei luoghi nei quali esse mancano.
RispondiEliminaA Lizzano (o... lecciano) esse sono lecci, una splendida quercia sempreverde che fa parte della macchia e bosco mediterranei.
La quercia, forte, robusta, fruttifera, fu cara ai pagani dell'Europa centro settentrionale.
I cinghiali, che si sbaffa(va) Obelix a colazione :) , di ghiande si nutrono, come molte razze suine italiche (cinta senese, nera dei Nebridi, etc ).
Noto che nello stemma appaiono anche a sx un ramoscello di mirto ? (sembrano bacche, non ghiande, anche se la foglia ricorda quella del leccio) e a dx di altro tipo di quercia (roverella, rovere?).
Grazie per la bella pagina.
... dei Nebrodi
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